A proposito di “pensare lungo”

Su Facebook ho postato questa sintesi che ha ricevuto diverse reazioni… per non farla perdere nei meandri della cronologia del social, appunto questo post anche qui…

“Qualche giorno fa ho rilasciato un’intervista a Stefano Salomoni del Nuovo Diario, nell’ambito degli articoli che questo giornale sta pubblicando in vista delle elezioni del sindaco e del consiglio comunale del prossimo anno.

Il mio approccio – inevitabilmente, dato che guardo le cose di Imola da lontano – è metodologico. Il nuovo governo della città non potrà essere scelto preoccupati solo di una gestione ordinaria della città (che pure non va sottovalutata), ma le forze politiche che hanno maggiori responsabilità devono mettere in campo un progetto fondato su “pensieri lunghi” che possano porre solide basi per definire lo sviluppo della città dei prossimi 20 – 30 anni.

Alcune cose, su come saremo, già le sappiamo. Ad esempio abbiamo chiaro che ci sarà una popolazione più vecchia, tendenzialmente vivremo in case più piccole, il nostro livello di conoscenza e di utilizzo delle tecnologie sarà molto elevato, almeno il 40% dei lavori che si fanno oggi sarà estinto, la carta stampata sarà per collezionisti…
Per questo suggerisco che prima di parlare di nomi su chi sarà il candidato del centro-sinistra (con il trattino sempre più evidente) è fondamentale il progetto di cui, alla fine, il nuovo sindaco sarà motore e garante; quale squadra lo interpreterà; quale percorso sarà messo in moto per giungere a questo obiettivo.

Senza presunzione (peraltro sono cose già al centro dell’attenzione) suggerisco 4 spunti per rendere più concreto questo mio pensiero, sapendo benissimo che fin qui è stato fatto un lavoro più che buono, che bisogna valorizzare e sviluppare molte cose già oggi in campo, ma su altri temi è obbligatorio andare oltre e – se vogliamo usare le parole della politica – fare scelte di discontinuità.

  1. Mi capita in questi mesi di frequentare la Casa di Riposo. Mi ha colpito positivamente il grado di disponibilità, sensibilità e qualità degli operatori del quel servizio. Nella sanità imolese credo che questo sia un valore straordinario. Ora, dal punto di vista strategico, dobbiamo fare tesoro di questo elemento e pensare a come combinare progetti di sviluppo dei servizi che fatalmente non potranno fare esclusivo affidamento alle risorse pubbliche o al reddito da pensione dei singoli. Sperimentare modelli di un welfare che coinvolge il privato è ormai un tema uneludibile e le dimensioni della nostra realtà possono aiutare un dialogo e una progettazione con soggetti ed imprese del settore (banche, assicurazioni, imprese, associazionismo, università). Su questo fino ad oggi non siamo andati molto oltre all’enunciazione teorica del problema, ora a mio parere si deve passare alla sperimentazione di progetti.
  2. Il web non è più un oggetto strano: è parte della nostra vita e lo sarà stabilmente. Naturalmente il suo sviluppo prescinde da noi, ma sempre più il carattere locale della rete puó rendere più amichevole il rapporto con la tecnologia ed essere – meglio di oggi – uno strumento di socialità dolce. Io non so se si possa pensare a un “piano locale per una socializzazione gentile” su un piccolo territorio, ma certamente coinvolgere il sistema di relazioni esistente (sindacati, commercianti, imprenditori, agricoltori…) e gli organi di informazione e comunicazione (privati e pubblici) definendo una rete di consegna a domicilio di beni e servizi che abbia finalità: relazionali per le persone che abitano da sole; commerciali di valorizzazione e commercializzazione di prodotti a km 0. In questo io vedo che la politica non possa essere uno spettatore, tanto che il tema della messa in rete dei propri servizi, la trasparenza, l’anagrafica, i big data debbano trovare una responsabilità stabile e più pesante nei prossimi assetti di governo locale.
  3. Mi è successo, anche in giro per il mondo, di sentire parlare di SACMI. In quei momenti mi sono sentito orgoglioso di essere imolese, perchè questa azienda è frutto della mia e della nostra storia. Anche nella sua origine legata a momenti molto difficili per i lavoratori imolesi c’è la spiegazione di come le radici di una storia possano essere un elemento immateriale che influenza il successo di un gruppo capace di modernizzarsi e crescere. Mi viene in mente quando mi raccontavano che la luce dell’ufficio di Aldo Villa era sempre accesa come a dire che intelligenza, applicazione e passione nel lavoro, alla fine, portano dei risultati anche nel tempo. Ora io credo che non si possa prescindere anche in futuro da un patto tra la città e le sue grandi imprese – faccio l’esempio di SACMI perché è quella più chiaro – e da una condivisione di obiettivi. Bill Gates in questi giorni ha sollevato il tema di una tassa per le aziende che usano robot in sostituzione dei lavoratori. Non so se questa sia la strada giusta, ma di certo il tema della responsabilità delle imprese verso il territorio è cruciale, da discutere alla luce del sole.
  4. Le eccellenze della nostra città sono un vanto, ma non sono acquisite una volta per tutte. È da molto tempo che non parlo con il Maestro Scala, ma di certo con lui possiamo condividere pensieri di strategia e la sua visione larga (ancorché settoriale) e la sua esperienza ci possono dare spunti di riflessione e io ritengo che anche su questo una visione di città possa essere utile. Dell’autodromo so poco. Mi piace la linea di sviluppo che ha seguito, ma penso che accanto ad una direzione commerciale vada strutturata una direzione artistica di alto profilo, capace di trattare con le grandi agenzie di organizzazione degli eventi, ma che abbia facilità a parlare direttamente con le star proponendo idee per valorizzare l’Enzo e Dino Ferrari come uno dei grandi palcoscenici europei”.

 

Questa è l’intervista pubblicata:

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Ho usato le virgolette, perchè l’espressione “pensieri lunghi” è di Enrico Berlinguer…

Smart, inchiesta sulle reti

Il patron di Google di recente ha calcolato che ogni quarantott’ore
mettiamo in circolo in rete una quantità di contenuti
pari a quella creata dalla nascita dell’umanità fino al 2003.
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Da un po’ di tempo avevo in mente un concetto che non riuscivo a esplicitare in forma compiuta, ma fortunatamente capita ogni tanto che ci sia qualcuno che dice meglio di te le cose e soprattutto le studia e le approfondisce dando una struttura (a volte anche scientifica) ai pensieri. Il mio pensiero era sostanzialmente questo: non è vero che internet spoglia di identità i territori, le identità o le idee. Internet è invece uno strumento che se usato con intelligenza, visione e capacità imprenditoriale può esaltare e potenziare gli elementi caratteristici di un territorio. Ovviamente bisogna intendersi: spesso il carattere localistico di un territori può essere definito dalla lingua che viene parlata, altre volte da confini naturali, altri ancora le barriere possono essere definite dalla diffusione dei device con cui i contenuti sono distribuiti.
In soccorso a questa che non era un’idea compiuta né verificata è arrivata la pubblicazione di un libro davvero importante: Smart, inchiesta sulle reti di Frederic Martel, in Italia edito da Feltrinelli.
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Cercherò, usando soprattutto le parole di Martel, che per scrivere questo libro ha visitato una cinquantina di paesi e ha parlato con centinaia di persone, di spiegare la mia tesi. Il libro di Martel è un’operazione che si fa sempre più raramente e che si chiama un’inchiesta sul campo e – dopo il suo libro Mainstream, dedicato all’industria dei contenuti della old economy, che mi era molto piaciuto –  ha raggiunto molti centri decisionali, molti protagonisti del web e tanti luoghi dove si definiscono le tendenze del mercato e della fruizione delle internet che ci sono nel mondo.
Il libro parte da qui: […] contrariamente a quanto si creda, internet e le questioni del digitale non sono fenomeni di natura prettamente globale. Sono legati al territorio; sono locali. Uomini, donne, informazioni, e-commerce, applicazioni, mappe, social network sono uniti tra loro da legami, materiali e reali. E vuole dimostrare che: Il futuro di internet non è globale, ma è radicato in uno specifico territorio. Non è globalizzato, è localizzato.
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La prima tappa è la Silicon Valley, per andare a cercare i luoghi dell’innovazione, le app che stanno avendo successo, le idee che sono diventate realtà ed ora grandi player del mercato globale, le personalità che hanno segnato il nostro tempo digitale. E’ questo il territorio dell’innovazione (quel fazzoletto di territorio che sta attorno alla città di San Francisco) e i soggetti del cambiamento sono la start up. “Esiste una tendenza di fondo: avviare una start-up costa sempre meno, grazie al software libero e al cloud, inoltre è sempre più facile trovare i soldi. La Silicon Valley sta vivendo un nuovo boom e il ruolo dei venture capitalist, in precedenza indispensabili per le procedure di finanziamento, sta cambiando. Lo sviluppo dello smartphone e l’inesauribile mercato di applicazioni creatosi in questa zona hanno anch’essi modificato lo scenario.”
In sostanza le tecnologie, il loro successo e la loro diffusione impongono agli imprenditori di essere sempre un passo avanti e non adeguarsi al cambiamento, ma avere la capacità di reinventarsi continuamente. Per farlo c’è bisogno di un “microclima” favorevole, fatto di possibilità di trovare le idee, la volontà di andare avanti sapendo che le difficoltà saranno enormi, avere la possibilità di presentare le proprie idee a chi ha mentalità aperta e capacità di fornire fiducia e finanziamenti adeguati. Ma in realtà non sono solo i soldi a muovere l’innovazione, ma anche una tensione ideale che si fa fatica a descrivere. Il posto migliore del mondo per per realizzare le proprie idee è quello là.
Il confine tra piccole e grandi aziende si confonde, poiché le start-up hanno bisogno del denaro dei colossi della rete e questi ultimi hanno bisogno delle imprese innovative più piccole.” Google e Facebook devono costantemente esplorare nuove idee e sono le start-up a farsene carico. “Dal canto loro queste start-up non sono motivate unicamente dal denaro, come spesso si crede. Qui, a San Francisco, ci sono molti imprenditori un po’ folli con un unico obiettivo: creare un mondo migliore. Sembra stupido, ma succede, accade veramente. Vogliono risolvere i problemi, trovare soluzioni.
L’età, per forza di cose è una barriera. Perché per riuscire si deve passare molto tempo a farsi il culo. La cultura geek, la cultura hacker, la controcultura è a San Francisco. Chi vuole essere smart e creativo viene qui, nella capitale degli hippie e dei gay. E abbiamo tutti diversi lavori: un lavoro che ci fa mangiare; una start-up in cui investiamo i soldi; infine, un ‘side job’ in cui si investe tempo per fare davvero ciò che si ama.
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Ma quello che succede nella California del Nord non è il solo caso nel mondo. Un esempio che secondo me lascia a bocca aperta per i  numeri che produce, per le prospettive che ci sono e per come si sta sviluppando è quello cinese. Clonare, copiare esattamente ciò che si faceva altrove, è stata la soluzione inventata dalla Cina per risolvere il deficit di creatività unito a un altro problema fondamentale: come costruire una potente rete internet senza essere dominati dagli americani? Come innovare quando mancano le idee? La soluzione si chiama Renren (pronunciato Jenjen, il Facebook cinese), Youku (YouTube), QQ (Msn), Weibo (Twitter), Beidou (Gps), Meituan (Groupon), Weixin (WhatsApp) e soprattutto Baidu (pronunciato By-doo, un motore di ricerca che assomiglia a Google). I “modelli originali” americani sono stati vietati, ovvero bloccati e censurati, o acquisiti.
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Lo Youtube cinese, che si chiama Youku

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Il Google cinese, che si chiama Baidu

Il sistema cinese autoritario (non totalitario) ha trovato forme di censura che non rappresentano dei limiti economici alla crescita della rete, basti vedere quanto è diventato forte un colosso dell’e-commerce come Alibaba, paragonabile per dimensioni ad Amazon (attivo anche dall’Italia). Martel racconta anche la vita dei dissidenti, le forme di aggiramento dei sistemi di sorveglianza ma rivela anche la fragilità di questi movimenti che ovviamente noi occidentali vediamo con grande simpatia, ma che appaiono residuali rispetto al sistema che si è consolidato in questi ventisei anni, vale a dire dalla repressione del giugno del 1989, in piazza Tien a Men. In sostanza: la censura funziona come una patente a punti. Ti si fa capire che ci sono le possibilità di punirti, in un modo molto sofisticato. Un sistema fatto da migliaia di collaboratori diffusi nel territorio e – anche perché i tempi sono cambiati – per concezione assai diverso dai vecchi sistemai di controllo del blocco sovietico (ricordate Le vite degli altri?).
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Problemi del tutto diversi sono nel secondo stato più popoloso del mondo: In India, tutti credono di essere unici, ma non è affatto così. Molte persone portano lo stesso nome e cognome e hanno la stessa data di nascita. Ci sono 1,3 miliardi di persone ed è difficile non solo essere unici, ma dimostrare che si esiste.
Il più grande progetto di digitalizzazione di un paese sta avvenendo proprio in India con l’introduzione della carta di identità unica e per un paese di quasi due miliardi di persone è una cosa pazzesca. L’India è il paese che produce più ingegneri di lingua inglese al di fuori degli Stati Uniti, ed è questo il suo capitale più prezioso: ogni anno 4,3 milioni di studenti indiani conseguono un diploma post-laurea, di cui 1,5 milioni di ingegneri, informatici o tecnici. Eppure il paese non intende competere con la Cina, che resta migliore sotto il profilo della produzione di dispositivi, computer, telefoni o tablet: “Alla Cina l’hardware, all’India il software,” […] L’India ha anche il vantaggio di avere una radicata emigrazione nella Silicon Valley, cosa che favorisce gli scambi e ha creato un’ampia comunità di ingegneri con doppia nazionalità e un’esperienza globale.
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Ma il paese più sorprendente è quello delle start up: Israele. In una moderna via del centro di Tel Aviv, Viale Rothschild, ci sono edifici alti e moderni, in vetro dove hanno sede quasi seicento start-up.
Questo fenomeno non si riesce a spiegare. Israele è un paese con poche risorse naturali, dobbiamo inventarci tutto da noi. L’innovazione e l’imprenditorialità sono condizioni di sopravvivenza. Poi c’è l’esercito, che ha giocato un ruolo chiave all’interno del sistema tecnologico locale. Infine, c’è il nostro legame con gli Stati Uniti: tutti sognano che la loro start-up possa essere acquisita da un’azienda americana.
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Di grande interesse è anche il tema del superiore livello di istruzione che si raggiunge in Israele e l’influenza del servizio militare obbligatorio di tre anni che forma la mentalità dei giovani. In una testimonianza si legge: “In Francia mi insegnavano ad usare il PowerPoint, qui sotto le armi costruisco robot”. L’autore si spinge in una ardita immagine per spiegare quali siano gli ingredienti per uscire vincenti da questa darwiniana  lotta per ottenere il successo: “come per i pionieri del Wild Wild West americano, si tratta di una miscela di audacia e di spirito di conquista, impersonato da uomini che si assumono qualsiasi rischio e si fanno pochi scrupoli pur di perseguire il loro ideale”.
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Martel è andato anche in Kenia, a Kibera, a cercare #Mchanganyiko (che in lingua swahili significa ‘diversità’) e in Africa come in tutto il resto del mondo. La gente qui vive nel presente, non si proietta nel futuro. Bisogna parlare loro di ciò che riguarda l’oggi.
Qui, naturamente, anche il modello si adegua alle tecnologie diffuse e prende forma un esperimento interessante l’”informazione comunitaria”. In sostanza nella baraccopoli keniota esiste una forme di “sms reporting”: quando si ha un’informazione importante o si vede qualcosa di strano, si invia un un messaggino a Voice of Kibera con un codice di allerta e viene pubblicato sul blog… e così queste notizie si diffondono rapidamente tra gli abitanti. Infatti il punto è anche che
In Kenya è in corso la rivoluzione del telefono cellulare, il 70 per cento della popolazione ne ha uno. Il 90 per cento del traffico su internet si sviluppa attraverso il telefono. Ormai ci sono smartphone a 8000 shilling (circa 70 euro). Sono Nokia o Huawei con sistema operativo Android. Li chiamiamo minismartphone e tutti li vogliono. I kenioti sono pronti a molti sacrifici per avere un buon telefono o per accedere direttamente a internet. A volte si privano del cibo o dell’energia elettrica per questo. Presto avranno tutti uno smartphone.
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Il giro del mondo continua ancora per definire i temi della regolamentazione di internet (facendone un’interessante storia della regolamentazione dalle origini fino ai temi aperti oggi negli Stati Uniti) e arriva anche in Europa dove l’inchiesta approfondisce elementi più tecnici. Interessante, ma sinceramente meno efficace nella spiegazione e anche negli esempi, sono le suggestioni sul futuro del giornalismo culturale. In ogni caso un libro da leggere e da consultare di tanto in tanto, come se fosse una matrice per confrontare con le esperienze di successo le proprie idee.

World Digital Librery

Il progetto WDL (World Digital Librery) è la cosa più ambiziosa che si trova in giro per il web. Si tratta di un’operazione sostenuta dall’Unesco e da Google e di fatto è la moderna biblioteca di Alessandria, anche se ancora molto c’è da fare per avere un peso paragonabile (anche se in un altro mondo). Anche questo sito e una miniera di suggestioni e di cose interessanti in Smart, inchiesta sulle reti, di Frederic Martel in italia edito da Feltrinelli. Un testo fondamentale per chi si occupa di informazione, cultura, televisione… o anche solo per chi è interessato a dove va il mondo.

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Una carta dell’Italia del 1890 pubblicata in America mostra il nostro Paese dopo la sua unificazione… http://www.wdl.org/en/item/414/view/1/1/

Poi Una Volta

Incontro W3C Boston

Poi una volta, dal 12 al 17 febbraio del 2000, con Lucio Picci facemmo un viaggio a Los Angeles, là dove c’era stato il giorno 1 di internet, ed a Boston al W3C ed incontrammo un po’ di persone. Qui siamo con il gruppo colui che qualche tempo dopo diverrà Sir, Tim Berners-Lee. Ricordo Ian Jacobs, che ci ha affiancato e ci ha permesso di arrivare a questo incontro, agevolando l’ingresso dell’ufficio del Primo Ministro italiano come membro del consorzio. Fu la prima volta nella storia che succedeva una cosa del genere…